Quando si parla di vendere all’estero online spesso viene utilizzato il termine Digital Export. Questo termine è divenuto molto in voga tra gli addetti ai lavori. Alcune società di digital marketing stanno cercando di associare l’attività digitale in lingua straniera, alla vendita e promozione all’estero dei prodotti. In aggiunta, marketplace molto forti a livello mondiale stanno chiudendo accordi di vario genere per facilitare l’internazionalizzazione delle PMI, la quale parte proprio dalla vendita all’estero online dei prodotti di queste realtà.
Che cos’è il Digital Export
Il Digital Export è un termine che definisce un insieme di strumenti e tecniche commerciali e di marketing che consentono alle aziende di trasporre su piattaforme digitali le attività che tradizionalmente venivano implementate per espandere il proprio business a livello internazionale. Le potenzialità del Digitale per le aziende che intendono esportare i propri prodotti sono tante, ecco solo alcuni esempi:
- Aprire un e-commerce per vendere all’estero
- Implementare tecniche di social selling
- Investire sulla presenza su marketplace più generalisti o più specializzati
A questo punto è importante che l’azienda dia il dovuto spazio al digital export management, attraverso l’inserimento nel proprio organico di risorse umane qualificate, o avviando delle collaborazioni con partner esterni esperti, che possono svolgere al meglio questo lavoro.
Come vendere online all’estero senza fare passi falsi
Per capire come vendere online all’estero evitando um percorso già fatto da altri senza risultati positivi, molte volte è utile partire dalle cose da non fare. Per questo motivo, abbiamo enumerato alcuni degli errori più comuni che si commettono quando si prova a vendere all’estero per la prima volta. L’obiettivo di questo elenco è di ridurre al minimo i passi falsi, spesso legati a una visione eccessivamente semplicistica dell’internazionalizzazione. Giova ricordare che ogni prodotto ha storia e caratteristiche proprie e talvolta queste generalizzazioni che tentato di dare risposta alla questione come vendere all’estero non hanno ragion d’essere.
Gli 8 errori più comuni quando si vuole iniziare a vendere online all’estero:
- Siccome il prodotto si vende bene online nella mia nazione, lo venderò bene anche in un’altra
- Pensare che per vendere basti mettere il prodotto su un marketplace estero.
- Fare copia-incolla di foto e contenuti tradotti nell’idioma della nazione dove si vuole vendere.
- Sottovalutare l’incidenza di costi e tempistiche di trasporto.
- Sottovalutare i costi e l’onere di tempo per gestire i reclami.
- Non approfondire le dinamiche delle certificazioni e garanzia.
- Non investire per conoscere le dinamiche di utilizzo e distribuzione del proprio prodotto.
- Credere che non serva un distributore o un centro di assistenza tecnica locale.
Ma è davvero così semplice?
Ecco i principali errori da evitare:
1 – Siccome il prodotto si vende bene online nella mia nazione, lo venderò bene anche in un’altra
La nostra esperienza sul campo ci insegna che spesso non è così. Per fare un esempio, se oggi realizzo un buon volume d’affari di un prodotto in Svizzera, è perché ci sono fattori per cui esiste una domanda di tale prodotto su quel territorio. Domanda che si è costruita in mesi o anni e, se il prodotto è disponibile online in Svizzera, i clienti lo acquisteranno anche tramite quel canale. Se rendo disponibile il medesimo prodotto online in Francia, dove magari non è stato fatto nulla per creare la domanda o, più semplicemente, si hanno abitudini diverse, è plausibile che non ne verrà venduto nemmeno un pezzo. Scontato? Forse sì, ma rientra nel novero delle banalizzazioni del concetto di Digital Export.
2 – Pensare che per vendere basti mettere il prodotto su un marketplace estero
Vedi punto 1. A questo aggiungiamo un aspetto fondamentale legato al Digital Export. La maggioranza degli attuali marketplace online, soprattutto quelli internazionali, basano la loro strategia sulla reperibilità del prodotto e ancor di più sulla competitività del prezzo. Possiamo paragonarli a “reti a strascico” che si limitano alla raccolta sui volumi, ma non co-creano valore con il venditore o il produttore. Racimolano solo la domanda esistente. In alcuni casi contribuiscono alla visibilità del prodotto, aumentandola. È nostra convinzione che questo atteggiamento passivo stia per cambiare. Anche le piattaforme internazionali di vendita online diventeranno più attive nella creazione della domanda. Alcuni si sono già mossi in questa direzione come ad esempio il portale Booking.com, che promuove gli appartamenti con annunci a pagamento come se l’appartamento fosse loro. Questo è sicuramente un trend da considerare nel futuro del Digital Export.
3 – Fare copia-incolla di foto e contenuti tradotti nell’idioma della nazione dove si vuole vendere
Certo, da qualche parte si deve pur iniziare. È sensato partire dalla traduzione dei testi e dall’utilizzo delle foto e dei video esistenti, magari doppiandoli in lingua. Questa è la base, ma occorre poi, per massimizzare le vendite, conoscere più approfonditamente le dinamiche sociali e d’acquisto delle nazioni target, al fine di adeguare i contenuti al contesto. Un esempio su tutti, i mercati di Canada e Stati Uniti prediligono contenuti più schematizzati con poche e chiare informazioni, senza dar nulla per scontato.
4 – Sottovalutare l’incidenza di costi e tempistiche di trasporto
Ci sono nazioni dove l’accesso al mercato è ostacolato proprio da questi 2 fattori. Si tratta di vere e proprie barriere all’ingresso dovute a politiche protezioniste, conformazione del territorio, abitudini, costo della vita. A monte della formulazione della strategia di Digital Export va fatta un’analisi approfondita di questi fattori, per evitare in seguito di trovarsi senza margini o addirittura in perdita.
5 – Sottovalutare i costi e l’onere di tempo per gestire i reclami
La vendita online non si esaurisce con la consegna del prodotto al cliente. È fondamentale, soprattutto quando si vende all’estero tramite i canali digitali, essere organizzati e strutturati per offrire un servizio post vendita e di assistenza tecnica adeguato e tempestivo. Alcune grandi piattaforme offrono resi (spesso immotivati) e si occupano della loro gestione e del re-invio del nuovo prodotto. I costi sono ovviamente sempre a carico del venditore, spesso sotto forma di percentuali aggiuntive da corrispondere alla piattaforma online. Se però siamo noi a vendere tramite un nostro sito, è importante strutturare il funnel di gestione di reclamo-reso, grazie a un team preparato a dialogare in lingua, gestire le spedizioni del reso, identificare la problematica, organizzare la riparazione in loco ecc. Tutti questi aspetti della digital customer service, oltre a essere onerosi, richiedono anche notevole dispendio di tempo. Sono pertanto da considerare attentamente nel processo di internazionalizzazione, perché potrebbero ridurre parecchio la profittabilità della vendita all’estero, in particolar modo per prodotti tecnici e complessi.
6 – Non approfondire le dinamiche delle certificazioni e garanzia
Per vendere in molti Paesi esteri (es. Penisola arabica, Medio Oriente, Brasile, Usa, Canada ecc.), è spesso necessario possedere certificazioni specifiche per alcuni prodotti. Certificazioni che possono essere internazionali o locali e ottenibili presso enti in loco. Costi e tempi per le certificazioni variano a seconda della tipologia di prodotto. È inutile nascondere che in alcuni Paesi esistano spinte protezioniste in merito all’ottenimento di certificazioni. È possibile arenarsi su iter molto lunghi e poco chiari, che potrebbero bloccare la vendita del prodotto sul territorio. Pur essendo nel XXI secolo, queste dinamiche sono purtroppo ancora in auge in contesti specifici. Occorre tenerne conto anche nel processo di Digital Export del proprio prodotto.
7 – Non investire per conoscere le dinamiche di utilizzo e distribuzione del proprio prodotto
È un pericolo spesso sottovalutato da chi vende online tramite il Digital Export. Immaginiamo che il processo di vendita online all’estero sia andato bene e che siamo riusciti a strutturare un sistema per vendere il mio prodotto tramite un canale online. Volumi e marginalità sono buoni. L’azienda si concentra quindi nella vendita tramite il suddetto canale digitale, limitandosi a produrre e consegnare il prodotto, direttamente o tramite un marketplace. L’azienda è così assorbita nella routine della gestione dell’ordine, che non approfondisce le dinamiche d’acquisto e il comportamento del consumatore in rapporto al suo prodotto. Cosa accade se a un certo punto le vendite online calano o si bloccano del tutto? Come facciamo a recuperare la situazione, se per anni ci siamo limitati a produrre e consegnare senza conoscere davvero il mercato? Cosa ha condotto al calo delle vendite? Quali altri canali potrei utilizzare per tornare a vendere online? La rete distributiva tradizionale potrebbe essere un’opzione da considerare? Quali altri portali potrei contattare? Come devo ridisegnare il processo di Digital Export? Quando le cose vanno bene, spesso ci si dimentica, a causa della routine, di avere un piano B. Un piano B che funzioni rapidamente è attuabile solo se si conosce bene il proprio consumatore e le dinamiche d’acquisto locali, distributori alternativi e loro riferimenti.
8 – Credere che non serva un distributore o un centro di assistenza tecnica locale
Spesso, a causa della natura del prodotto o delle dinamiche di mercato, la spedizione diretta del prodotto da una nazione all’altra risulta molto complicata od onerosa, in termini economici, burocratici ecc. È il caso della vendita diretta in nazioni che non hanno mutui accordi commerciali. Quando si progetta il flusso del Digital Export per tali nazioni, bisogna valutare l’opportunità di disporre di un distributore locale o di un magazzino. In altre situazioni, dove la spedizione è possibile, ma le vendite avvengono in Paesi remoti, è fondamentale essere organizzati con un servizio post vendita o con assistenza tecnica in loco. Far rientrare un macchinario dall’America all’Europa infatti potrebbe essere molto più costoso della riparazione. A ciò si aggiungono i disagi creati al cliente, nel caso in cui il prodotto non funzionasse e si prospettassero tempi molto lunghi per la riparazione o la sostituzione. Nel processo di corretta strutturazione dell’attività di Digital Export vanno considerati con perizia anche aspetti di carattere commerciale, strategico e tecnico.
Vendere all’estero prodotti Italiani
Pensare che oggi basti apporre il Made in Italy ad un prodotto per venderlo facilmente all’estero è un errore molto comune. In primo luogo il Made in Italy sta in questi ultimi anni perdendo il suo appeal che viene da un passato imprenditoriale glorioso di molte aziende, un esempio su tutti è quello della Ferrari. A questo si aggiunge che il vero Made in Italy sta diminuendo in qualità e quantità in quando moltissime aziende realizzano i loro prodotti o parti di essi al di fuori dell’Italia. Questa delocalizzazione ha contribuito a far diminuire il valore del Made in Italy negli occhi dei consumatori e degli acquirenti esteri B2B. La soluzione principale a questa problematica è anche qui ripartire dalle origini del prodotto, raccontare cosa c’è dietro un’azienda e spiegare dov’è la qualità senza mai darla per scontata.
È fondamentale ricordarsi che la qualità non è solo nel prodotto ma è anche nelle persone, nella modalità di relazione ed interazione con l’utente finale e con i vari stakeholder, nelle performance delle tecnologie utilizzate, nel customer service. Troppo spesso le aziende Italiane si sono limitate a vendere all’estero facendo leva solo sulla qualità del prodotto ignorando o trascurando tutto quello che c’è intorno. Nel contesto di mercato rapido ed iper-competitivo, è fondamentale curare avere un approccio olistico alla gestione del brand in ottica di vendita all’estero di prodotti italiani.
Vendere all’estero prodotti Svizzeri
Il Made in Switzerland è sempre stato, in alcuni settori specifici come ad esempio l’orologeria, sinonimo di altissima qualità e precisione. Nell’arco degli anni, alcune aziende svizzere sono riuscite a valorizzare l’associazione tra altre tipologie di prodotto ed il concetto del “realizzato in Svizzera”, aumentando la percezione della qualità dei prodotti soprattutto per la vendita all’estero. Dall’analisi qualitativa realizzata attraverso dei focus group di clienti finali e B2B, è però emerso che il concetto del Made in Switzerland non è valorizzato da uno storytelling adeguato. Molti degli intervistati affermano che acquisterebbero molto volentieri prodotti realizzati in Svizzera se conoscessero cosa c’è veramente dietro la qualità che li contraddistingue, cioè storie di idee, persone, sogni e tecnologie.
Per aumentare le vendite all’estero di prodotti svizzeri non è più sufficiente apporre il marchio Prodotto in Svizzera ma è fondamentale raccontare tutto l’intorno del prodotto attraverso uno storytelling adeguato. Le potenzialità di vendita all’estero dei prodotti svizzeri sono ancora tutte da esplorare e solo poche aziende hanno colto l’opportunità di espansione internazionale che è legata all’immagine di una nazione produttiva ed efficiente come la Svizzera.